Per motivi religiosi, andavano esclusi il mese di maggio e la prima metà di giugno e i giorni delle Calende, None, Idi, durante i Parentalia, la festività di febbraio in onore dei parenti defunti.
Ecco come i romani organizzavano i matrimoni:
Il giorno prima delle nozze la sposa era protagonista di un rito che segnava il passaggio dall’infanzia all’età adulta, durante il quale consacrava sull’altare domestico i giochi da bambina.
Il mattino successivo, assistita dalla pronuba, una matrona anziana e univira (l’aver avuto un solo marito era segno di buon augurio), la giovane si adornava secondo i precetti della tradizione e attendeva lo sposo e i suoi parenti nella casa paterna che, per l’occasione, era ornata a festa: dalla porta e dagli stipiti pendevano corone di fiori, rami di piante sempreverdi come il mirto e l’alloro e bende colorate; nell’ingresso erano sistemati tappeti mentre, soprattutto presso le più importanti famiglie patrizie, si era soliti aprire gli armadi dove erano conservate le imagines, le maschere di cera degli antenati.
Il matrimonio per coemptio era basato su una sorta di "vendita" della donna da parte del pater allo sposo che, alla presenza di cinque testimoni, pagava la simbolica cifra di un nummus.
L'usus, infine, si basava sull'ininterrotta convivenza di un uomo e una donna non coniugati per un anno.
Al termine di questo periodo si poteva ritenere costituito il vincolo matrimoniale.
Il rito nuziale iniziava con un sacrificio augurale fatto alla presenza degli aruspici e di dieci testimoni che forse rappresentavano le dieci curie.
L’animale sacrificato era cosparso sulla fronte da una pappina di farro, poi gettato nel fuoco.
Durante il sacrificio una funzione molto importante era svolta dagli aruspici che esaminavano le viscere dell’animale per trarne responsi: la cerimonia nuziale, infatti, proseguiva solo nel caso in cui gli auspici fossero favorevoli.
A questo punto della cerimonia, gli sposi mangiavano insieme, seduti uno affianco all’altra su due sgabelli ricoperti di pelle di pecora (pellis lanata), una focaccia sempre di farro, il panis farreus.
La consumazione insieme del pane era, infatti, simbolo della vita coniugale: l’alimento mangiato in comune favoriva la concordia e l’unità degli affetti.
Dopo questo rito gli sposi facevano il giro dell’altare preceduti da un inserviente che portava il cumerus, il cestello con gli arredi sacri.
Al sacrificio seguivano la sottoscrizione delle tabulae nuptiales, contenenti il contratto matrimoniale, e il rito della dextrarum iunctio, durante il quale la pronuba, congiungeva le destre dei due sposi.
La dextrarum iunctio costituiva il momento culminante del rito nuziale: in quel momento, infatti, tra i due sposi veniva sancito il patto coniugale. Gli avanzi bruciacchiati erano poi distribuiti agli ospiti in segno di buon augurio. (segue seconda parte)
Necropoli di Porto - Tomba n° 72 Gli sposi |
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