Ovvero l'evoluzione moderna del cittadino di Fiumicino

venerdì 10 settembre 2010

«Nabis sine cortice», nuoterai senza salvagente...

Così descrive Plinio il Giovane, in una lettera al suo amico Gallo, il litorale di Roma : " è meravigliosa la natura di quella spiaggia; ovunque tu scavi il terreno, l’acqua ti viene incontro ben fornita, e anche pura e per nulla inquinata dalla così grande vicinanza del mare. I vicini boschi ti danno legna in abbondanza; in quanto alle altre necessità la città di Ostia vi provvede. La spiaggia è ornata con una piacevolissima varietà di fabbricati di ville, or contigue or distanziate, che offrono l’aspetto di una serie di borgate, sia che tu te la goda dal mare o dal litorale stesso; questo è talvolta morbido dopo un lungo periodo di calma, ma più sovente si indurisce per il frequente cozzar delle onde. Il mare, in verità, non abbonda di pesci pregiati, fornisce però delle sogliole e dei gamberi eccellenti (Epistulae II,17,15, C. Pinio Gallo suo)".
I nostri antichi progenitori, trascorrevano le giornate estive sulle spiagge solo se abitavano vicino al mare, questo per diversi motivi quali: la loro scarsa mobilità, il costo elevato dei viaggi, e la loro situazione economica che non consentiva ferie prolungate. Le spiagge erano certo meno affollate di oggi, ma lo scenario che offrivano, non era poi troppo difforme: ci si sdraiava sulla spiaggia, si faceva il bagno in mare e si andava in barca, mentre altri facevano una passeggiata sulla spiaggia bagnandosi i piedi e osservando i bimbi che lanciavano pietre in acqua (Min.Fel.,Oct.3). 
La maggior parte dei Romani sapevano nuotare, i ragazzi utilizzavano la "ciambella", costruita con corteccia di sughero (Hor., Sat.I,4,120) e cinture di giunco (Plauto, Aul.,595). 
Quanto fossero diffuse le ciambelle, si evince da proverbio nabis sine cortice (nuoterai senza ciambella), quale metafora dell'età adulta al termine dell'educazione impartita dal padre (Hor., Sat. I,4, 120).
Chi praticava il nuoto non rinunciava ad immergersi.
I professionisti nuotatori (urinatores) andavano in cerca di spugne, ostriche e perle, ed erano ricercati per riparazioni navali, in caso di guerra o in caso di salvataggio. L'attività d'immersione era particolarmente pericolosa: erano calati in acqua dall'imbarcazione legati ad una fune, con un peso di piombo nella mano destra, recidevano le spugne con un falcetto.
Numerosi gli incidenti a causa degli squali (Plin., NH, IX, 152). 
Feste sfrenate con elevato consumo di vino erano all’ordine del giorno (Sen., Ep., 71, 3). Girare per gli eleganti ristoranti della zona (Juv., XI, 16) era parte integrante della vita balneare. I prolungati bagni di sole (apricatio) erano meno comuni di oggi, e amati soprattutto da uomini di una cera età. 
Molti villeggianti preferivano l’ombra e le dame più raffinate avevano sempre qualche schiavo che le proteggeva con un ombrello da sole (Mart., XI 73, 6).
La stagione balneare durava sino all’autunno.

«Nabis sine cortice», nuoterai senza salvagente. 
Un viatico per il cambio generazionale così suggeriva Quinto Orazio Flacco, in latino Quintus Horatius Flaccus (Venosa, 8 dicembre 65 a.C. – Roma, 27 novembre 8 a.C.) già 2000 anni fa', ma l'argomento è quanto mai d'attualità per coloro che sono sulla ribalta politica ed economica da più di un ventennio...



Fonti: Epistulae II,17,15, C. Pinio Gallo suo; Min.Fel.,Oct.3; Plauto, Aul.,595; Hor., Sat. I,4, 120; Plin., NH, IX, 152; Juv., XI, 16; Mart., XI 73, 6.
Tratto dal Libro Vita quotidiana nell'Antica Roma di Karl-Wilhelm Weeber

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