Ovvero l'evoluzione moderna del cittadino di Fiumicino

giovedì 19 maggio 2011

Evviva Giulio... Frontino il "curator aquarum" (prima parte)

Nei post precedenti abbiamo scoperto ove è situata la cisterna nel territorio di Fiumicino. (vedi Cisterna a Fiumicino).  In questo post vediamo come 2000 anni fa conservavano l’acqua, i nostri antichi progenitori e di risposta osserviamo come l’acqua è gestita ai giorni nostri.

A breve uomini e le donne di questo paese, attraverso un referendum decideranno la modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali.
La consultazione popolare avrà il compito di abrogare o no l’art. 23 bis (dodici commi) della Legge n. 133/2008, relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica.

Un salto ai tempi dei romani per conoscere il modo in cui essi gestivano questo prezioso bene comune.
Sin dai tempi più remoti le cisterne hanno ricoperto un ruolo essenziale per la sopravvivenza delle popolazioni, specialmente in regioni prive di corsi d'acqua o invasi naturali perenni che assicurassero agli abitanti la disponibilità costante di questo bene fondamentale per la vita umana.
La costruzione delle cisterne aveva lo scopo di bloccare e raccogliere le acque piovane per costituire una riserva cui attingere durante l'anno, oppure, nel caso di cisterne localizzate nei pressi di masserie o di frantoi, per il tempo necessario allo svolgimento delle attività produttive.
Poiché gli apporti di acque meteoriche non sono costanti a un anno all'altro, le cisterne assumevano anche la funzione di riserva accumulando al loro interno le eccedenze di un anno particolarmente piovoso che andavano a costituire scorta da tenere in serbo (da cui il nome di serbatoi dato a cisterne di medio-piccola capacità) per gli anni più siccitosi, in maniera tale da assicurare una fornitura il più possibile costante nel tempo.
La loro capacità varia da poche decine di litri a migliaia di metri cubi d'acqua.
A Roma, in età Repubblicana, nove era il numero delle cisterne, arrivando nel 226 d.C. ad undici.
Durante l’età Augustea (63 a.C. al 14 d.C.) l’approvvigionamento idrico migliorò notevolmente, la rete complessiva dell’acqua potabile che affluiva giorno per giorno a Roma ammontava a 500.000 metri cubi, presupponendo che la popolazione ammontasse a un milione di abitanti, l’offerta pro-capite di acqua era di circa 500 litri.
Poiché l’acqua scorreva di giorno e di notte, gran parte affluiva direttamente dai bacini di raccolta alle canalizzazioni.
Quella usata di giorno si suddivideva in tre “circuiti distributivi”: quello pubblico, che approvvigionava tutti i cittadini e portava l’acqua gratuitamente a laghetti artificiali e fontane; il secondo circuito serviva soprattutto i bagni e stabilimenti termali; un terzo, con condutture speciali, portava l’acqua nelle case private. Secondo le indicazioni date da Frontino (per approfondire), il "curator aquarum", sappiamo i percorsi degli acquedotti, i nomi dei costruttori, l'acqua trasportata, l'ubicazione delle sorgenti, il tipo di struttura muraria ed ogni altro tipo di informazione correlata con la realizzazione di queste opere.
Un accenno su come l'approvvigionamento veniva pagato dai cittadini.
A differenza di quanto accadeva durante la Repubblica, quando si assisteva a un incremento annuale, in età Imperiale le imposte sulle acque non furono aumentate. Sebbene non si dispongano indicazioni precise in merito, l'ammontare delle imposte sulle acque poteva variare a seconda della sezione delle condutture.
Approfondisco nel prossimo post, in quale modo e attraverso quali mezzi, la popolazione romana si approvvigionava di questo prezioso bene comune.

Ma torniamo ad oggi, in Italia, l’interesse forte dei cittadini nei confronti del tema “acqua” si è attivata all’indomani della approvazione del cosiddetto Decreto Ronchi del Novembre 2009, passato, ricordiamolo, con voto di fiducia al governo, in una situazione blindata che non ha consentito il normale dibattito del Parlamento. Il punto cruciale di tale decreto, è l’imposizione della cessione di almeno il 40% degli affidamenti a privati della gestione delle infrastrutture dei servizi idrici, di fatto la privatizzazione delle reti idriche con la possibilità per privati di fare profitto sull’acqua appropriandosi di tutti gli acquedotti.  
Il consumo di questo bene comune deve essere fatto con parsimonia, cercando di diminuire gli sprechi ma affidare ai privati la gestione delle infrastrutture può trasformarsi in risorsa per chi la gestisce ma non per tutti. A mio parere l'acqua può essere gesitita solo da comuni con la partecipazione dei cittadini. Voi che ne pensate?



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