Dell'impero romano abbiamo sempre avuto un'immagine solenne.
Un popolo severo, avvolto nelle loro toghe, a dibattere di guerra e impero, a progettare strade, ponti e monumenti, fissati com’erano con le arene e i gladiatori, ma certo solidi e con i piedi ben piantati a terra.
Lo stereotipo del romano tutto d’un pezzo - anche un po’ noioso sembra sia una fandonia bella e buona.
Lo conferma la scoperta di una raccolta di barzellette del terzo secolo dopo Cristo.
Non soltanto gli antichi romani erano spiritosi, ma lo erano pure in modo molto simile al nostro.
O meglio è il nostro senso dell’umorismo che deve molto a quello dei «Quiriti».
Il testo è scritto in greco, contiene 265 freddure e si crede sia il libro più antico del suo genere.
Gli autori, sempre che siano mai esistiti per davvero, sono del tutto sconosciuti: Hierocles e Philagrios.
Il libro regala il primo esempio di storiella «a tre personaggi» - forse l’archetipo della barzelletta all’italiana, quella che comincia con «ci sono Tizio, Caio e Sempronio».
Questo libro, benché non faccia crepare dal ridere mostra il loro punto di vista e a volte può essere anche molto divertente».
Vediamo qualche esempio.
«Un uomo compra uno schiavo, ma poco dopo muore.
Il tale allora va a lamentarsi con il venditore di schiavi, che gli risponde: «Beh, non è morto quando ce l’avevo io».
«Un astrologo fa l’oroscopo a un bambino malato.
E dopo aver detto alla madre che il piccolo ha davanti a sé molti anni, chiede di essere pagato. «Torna domani e avrai i tuoi soldi», risponde allora la donna.
«Certo», dice l’astrologo, «e che facciamo se il ragazzo muore e io perdo la mia parcella?».
"Che uomo è mai uno che si fà cogliere in fragranza di udulterio?", domandò Pontidio nel corso di un dibattimento davanti alla corte.
Tra le risate del pubblico, Cicerone rispose con una sola parola: "Lento!".
Cicerone, De Oratore, II, 275
divertentissimo
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