A proposito del lavoro e del lavoratore... (seconda parte).
La considerazione negativa di ogni mestiere remunerato è propria di letterati
e pensatori romani, ma non è condivisa da tutti.
Nelle testimonianze lasciateci dai testi letterariamente più umili, ma storicamente talvolta anche più rilevanti, l’attività quotidiana degli uomini e delle donne comuni è spesso citata
come parte essenziale della vita.
Molte epigrafi funerarie citano il mestiere esercitato dal defunto, spesso riportando anche scene in cui si vede rappresentato alle prese con attrezzi, strumenti, mercanzie e clienti.
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Necropoli di Porto |
Ma quando si torna a misurare il prestigio di chi esercita una professione a Roma, nel centro del vero potere, il discorso cambia: la stima di cui gode presso la gente comune un lavoratore, un artigiano, un commerciante al minuto o un piccolo imprenditore non è mai ritenuta un fondamento per la dignitas che serve a chi vuole intraprendere la carriera politica.
Questo limite è accettato dagli stessi esclusi, che non sviluppano né un rifiuto del potere che li marginalizza né una «coscienza di classe», cioè una piena consapevolezza dei loro specifici interessi e diritti e della strategia politica per imporli.
Rappresentativo di quest’atteggiamento è ciò che viene riportato dallo storico Livio a proposito della secessione della plebe del 494 a.C.: Menenio Agrippa riesce a convincere i contestatori a lasciare l’
Aventino e a tornare in città con il famoso apologo della lotta tra lo stomaco e le altre parti del corpo. Al di là delle concessioni effettivamente ottenute, il fatto che la protesta si esaurisca lascia intendere che anche i più rivoluzionari prendono atto che la gerarchia politica e sociale non può essere messa in discussione nei suoi fondamenti tradizionali.
Né abbiamo testimonianze che quest’atteggiamento degli umili nei confronti dell’ordine costituito sia cambiato nel corso dei secoli successivi.
Mentre il singolo lavoratore conta poco o nulla, importante è invece il ruolo dei gruppi di professionisti, che si riuniscono in associazioni chiamate «collegi» e «sodalizi», formati da persone accomunate da funzioni, arti o mestieri.
Ogni associazione, che può essere di tipo civile o religioso, riconosciuta dallo Stato e quindi regolata da apposite leggi e sottoposta alla sorveglianza dei censori, si trova sotto la protezione d’una divinità tutelare, nomina i propri amministratori, dispone di una cassa comune alimentata dalle quote dei soci e di una propria sede dove riunirsi a consiglio, specialmente in periodo elettorale.
Le finalità sono il mutuo soccorso e soprattutto la difesa degli interessi comuni: i collegi sono quindi una sorta di corporazione o di sindacato, ma privo di un programma ben definito.
Queste associazioni cominciano ad avere vita difficile quando le contraddizioni sociali della repubblica diventano acute: nonostante le leggi delle XII Tavole consentano ai «collegi» di darsi dei regolamenti che non contengano norme in contrasto con il diritto dello Stato, la classe al potere attua spesso arbitrarie e sanguinose repressioni delle proteste.
Molto frequente però è anche il caso in cui l’appoggio dei collegi e dei sodalizi è caratteristico per spostare da una parte o dall’altra l’esito di una contesa elettorale o politica.
A tal proposito torniamo nei nostri tempi, in occasione delle prossime elezioni Amministrative del Comune di Fiumicino, molte liste civiche proliferano sostenendo cause civili a tutela del cittadino.
L'esplosione di "civismo", a mio avviso non rappresenta un segno di cambiamento, se poi queste liste vengono a perdere il loro intento e sono inglobate nella "centrifuga" dei partiti.
Semmai occorrono partiti forti e strutturati, che abbiano competenza e persino professionalità politica.
Abbiamo molti mesi davanti a noi prima delle prossime elezioni, non ci mancherà l'occasione di osservare e commentare, magari proprio qui su questo blog...